La schizofrenia costituisce l’esperienza mentale più aliena, così lontana dai nostri modelli di vita e così indissolubilmente misteriosa e al contempo umana. La sua storia è assai complessa e non si presta a una narrazione lineare. Le sue prime descrizioni, che rivelano nelle difficoltà a darle un nome l’imbarazzo del definirla, e la sua progressiva sistematizzazione non si sono in effetti mai concluse. La sua stessa esistenza è stata in effetti messa in dubbio. Il progredire delle neuroscienze ha evidenziato i grossi limiti di un approccio categoriale, discutendo di volta in volta se esista in realtà una malattia chiamata schizofrenia o se si debba parlare piuttosto di tante schizofrenie diverse, o ancora se invece si possa parlare di uno spettro schizofrenico. Ci si chiede se la sua caratterizzazione sotto il profilo cognitivo, con le rispettive corrispondenze neurobiologiche, possa rappresentare la tappa fondamentale per la sua sistematizzazione oppure continuerà a prevalere la definizione diagnostica che utilizza il criterio clinico.
Se criticità esistono nella definizione nosografica, sul piano della terapia molte informazioni e molti strumenti si sono aggiunti negli anni per migliorare la gestione del paziente schizofrenico. Gli approcci sempre più mirati di tipo psicoterapico e psicoeducativo, lo sviluppo di capacità di intervento sul piano socio-assistenziale e la produzione continua di molecole antipsicotiche caratterizzate da profili favorevoli sono punti di forza che ci permettono di affermare che la disciplina psichiatrica è capace di apprendere dall’esperienza, rinnovare le proprie aspettative e proporre nuovi interventi terapeutici capaci di incidere positivamente sull’esito dei pazienti sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo.
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