Le Linee Guida ESH/ESC pubblicate nel 2007 enfatizzano la necessità che la diagnosi e il trattamento dell’ipertensione siano strettamente correlate con la quantificazione del rischio cardiovascolare globale.
Questo concetto è basato sul fatto che solo una piccola parte della popolazione ipertesa presenta esclusivamente un aumento pressorio, mentre la grande maggioranza presenta anche altri fattori di rischio cardiovascolare, in particolar modo quelli legati al metabolismo glucidico e lipidico e alla riduzione della funzionalità renale. Inoltre, la contemporanea presenza di ipertensione e di altri fattori di rischio cardiovascolare porta ad un rischio complessivo che è maggiore della somma delle singole componenti.
Ci sono infine numerose evidenze che nei pazienti ad alto rischio i valori soglia e gli obiettivi della terapia antipertensiva e delle altre terapie devono essere diversi da quelli dei pazienti ad alto rischio.
Gli studi su larga scala condotti sia su pazienti ad alto rischio sia su pazienti a basso rischio con farmaci attivi sul sistema renina-angiotensina hanno documentato che è possible ottenere una riduzione del rischio cardiovascolare maggiore di quella ottenibile con la semplice riduzione della pressione. Ad esempio, nello studio HOPE, condotto su 9.297 pazienti ad alto rischio cardiovascolare e con valori pressori nella norma, l’aggiunta alla usuale terapia antipertensiva di ramipril, a fronte di una riduzione pressoria di soli 3/2 mmHg ha prodotto una riduzione molto più ampia del rischio cardiovascolare. È stata osservata una riduzione della mortalità del 20% per infarto miocardico, del 32% per ictus e del 26% per cause cardiovascolari. Nello studio EUROPA, condotto su più di 12.000 pazienti a basso rischio, la riduzione del rischio di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico o arresto cardiaco a 4 anni rispetto a placebo è stata del 20% nonostante la riduzione pressoria fosse di soli 5 mmHg.
Nel loro complesso questi studi suggeriscono che il blocco dell’angiotensina II riduce il rischio cardiovascolare con un meccanismo almeno in parte indipendente dalla riduzione pressoria. È d’altra parte noto che l’angiotensina II esercita numerosi effetti sui processi coinvolti nella patologia cardiovascolare, come la vasocostrizione, la proliferazione cellulare, l’alterazione dell’omeostasi glucidica, il danno renale, l’aritmia e la fibrinolisi.
Fra i farmaci che interagiscono con il sistema renina-angiotensina, i sartani hanno via via acquisito un ruolo di grande rilievo ed hanno prodotto studi che confermano alcuni dei risultati ottenuti con gli ACE-inibitori su mortalità cardiovascolare, ictus e infarto miocardico (Studio LIFE) e sul rischio cardiovascolare in pazienti con scompenso cardiaco (Studio CHARM).
Per dire una parola probabilmente definitiva sull’importanza di affrontare il rischio cardiovascolare nella sua globalità e sull’efficacia dei sartani in questo ambito, è attualmente in corso un ampio programma di studi, il programma ONTARGET, che coinvolge complessivamente 31.546 pazienti ipertesi ad alto rischio cardiovascolare.
Dall’analisi della letteratura e dall’interesse che questi temi rivestono fra gli specialisti risulta pertanto evidente l’opportunità di approfondire questi temi e di creare una sempre maggiore consapevolezza della necessità di valutare correttamente il rischio cardiovascolare globale dei pazienti ipertesi e di fare in modo che questi pazienti siano “on target” non solo per quanto riguarda i valori pressori ma anche per tutte le altre componenti del rischio cardiovascolare.
Questo progetto ECM si propone pertanto di approfondire la tematiche del rischio cardiovascolare globale del paziente iperteso e di portare i partecipanti alla condivisione di una “good clinical practice” per fare in modo che i loro pazienti ipertesi riescano a raggiungere l’obiettivo di una sostanziale riduzione del rischio cardiovascolare.
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